Poesie

 
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Giardini e recinti

I vostri giardini pettinati
Senza bave senza foglie
Viali lucidi senza rimorsi
Punteggiati da biciclette allegre e nuove
Gente vestita di bianco come le righe della strada
Corre nel vento verso mete prossime

Le loro case trasparenti
I vetri ombrati di mobili squadrati e bassi
Armonia suadente di sole preposizioni
Uccelli solcano geometrici il cielo del 2 giugno
Cinguettii sparsi e gioiosi
Profumi diffusi appena emessi
Tutto è quieto sottotono controllato, amorevole

non c’è distruzione che non sia finalizzata al più virtuoso rifacimento
e sussidi come pioggia solo per abbellire
fiori nuovi piantati ogni mese
serramenti colorati di fresco ogni anno

si vive in pace sotto il tetto sicuro
personale,
il massimo che si possa avere

Auto gonfie e riflettenti
Attendono ai lati della strada
Mansuete, per essere prese senza capricci

Non c’è malattia
Le nonne portano occhiali da sole e sorrisi
Capelli a tinte forti e pantaloni attillati
Ai funerali la gente va perfettamente vestita, in bianco o in nero
I visi abbronzati per l’occasione
Presiedendo la cerimonia con espressioni rasserenate
O attendendo impettiti nel piazzale della dignitosa chiesa

Le stagioni corrono ammaestrate
Come i cani i gatti e i pochi pappagalli
Tutto è fresco e appena riposato
La gente sicuramente felice

Fa finta di non vedere
Che a proteggere questo mondo
Si ergono ogni giorno barriere più alte, più solide, di ferro e di vetro
I recinti proietteranno ombre, imbriglieranno ombre, diffonderanno ombre, immagineranno Ombre lunghe da far paura agli uccelli
Morire i pesci e appassire i fiori
Solo le tartarughe riusciranno a scappare
Scavando e scavando sottoterra


Ho passato la vita a guardare


Ho guardato fuori sempre,
da tutta la vita e non mi sono mai stancata,
da quando andavo alle medie il pomeriggio e i miei minuti erano appesi al cielo che si scuriva in toni assoluti oltre la finestra.

Non osservare solo guardare,
trovavo minime sensazioni quasi impercettibili,
tenerezza o oblio, purezza, grandiosità, perfezione, modestia,
contenuta silenziosa bellezza. O niente, e andava bene.
Guardavo ovunque, anche solo un piccolo insignificante angolo.

Al crepuscolo, fuori dal giardino, correre sui tetti del quartiere,
seguire gli uccelli lungo i cespugli di edere e ligustri,
sempre c’era un momento sconosciuto da fissare, ricalcare.
Uscivo con la pioggia,
e se il sole splendeva non potevo stare dentro,
il vento portava nuvole a carrettate basse che si spintonavano e s’ingorgavano avanti,
i passi avanzavano, gli occhi erano intorno al cielo, agli alberi scuri di rami,
c’era posto e sussurri per tutto,
filtravano su di me, mi trapassavano senza che li fermassi a chiedere una risposta,
andavo avanti con loro, mi portavano in piccoli giri, anche lì c’era da vedere.
E se andavo lontano verso Metz scoprivo i campi di colza fioriti di cromo e primavera,
se passavo per Trier incontravo gobbe di colli smussati che si ripetevano
accompagnandosi in una canzone anonima.
Ovunque sul mare di Liguria al mattino, o dopo le cinque di pomeriggio, c’erano quegli orizzonti luminosi, vasti e cheti da assorbire in silenzio,
e peccato non essere lì sempre, e dovunque,
a raccoglierli, trattenerli in un interminabile respiro.

I cipressi piccini dell’isola d’Elba, esili a muoversi come pinne morbide
nell’aria soffice e odorosa, sfilano su baie e specchi di luce,
hanno la loro lingua raccontano una storia vicina.
- Non dimenticare, non te ne andare non potremo separarci. -
- Poi tornerò, non mi riuscirà di essere in altro luogo. –

Appena mi volto,
ad altre strade andrò incontro, e si presenteranno terre che si alzano
si sfidano con la loro parlata aspra, e mi chiudono nel loro regno di luce e torri
e passato stretto.
Su sono tempeste di vedute, non mi lascerebbero andare,
le montagne non terminano, e non ricordo il punto da cui erano cominciate.
Sgomenta la loro estensione: ripeterle tutte per provare la loro importanza, per non dimenticarle?
Mi avvolgono di magie e ogni giorno le trovo diverse: un passaggio, le foglie le rocce,
il regno delle nuvole e della pioggia.
Per una montagna sola dovrei star decenni ad assorbire il suo canto, il suo messaggio, il suo fiato.
Correre via: è troppo.
Domani c’è ancora altro, posso sempre cambiare direzione: avvicinare, misurare, non c’è fine.

Cieli neri arrampicati su coperchi di stelle parlanti.

Quanto ricco è il mio bagaglio, ma distratta lo perdo nel viaggio,
dimentico lascio indietro e altro ne raccolgo
cerco di ricordarmi, di trattenerlo, ma scivolerà via senza che me ne accorga,
qualcuno dopo lo raccatterà, forse no.
Io vado avanti la testa vuota e gli occhi pieni.
Respirare esistere sulla punta delle dita.

Non farò in tempo a raccapezzarmi di tutto
e non saprò come salutare.